ANNO 14 n° 118
Livingstone in salotto Amore cosmico, ma davvero...
>>>>> di Massimiliano Capo <<<<<
15/06/2015 - 00:00

di Massimiliano Capo

VITERBO - C’è una donna grassa e un po’ sgraziata che fa pipì in strada. Sembra di colore.

C’è un uomo, anch’egli di colore, anche lui impegnato ad assolvere le sue necessità corporali in strada.

Ci sono i volti impauriti di altri uomini e donne che in strada vivono. Magari anche da anni.

Ci sono foto a raccontarli nella loro intimità. Violata come la loro vita.

Quasi nessuno raccoglie la voce disperata di quelle immagini che sono l’epifania della nostra ipocrita cecità.

Ci sono, invece, a commentarle, frasi inutilmente cattive. E piene di paura.

Frasi che hanno perso ogni compassione, ogni empatia.

Sono parole urlate, vendicative.

Sono la lingua della chiusura, del disprezzo, dell’inutile difesa di una comunità che può esistere davvero solo nella riscoperta del valore impolitico dell’essere umano come tale, nella sua nudità. Nel suo essere indifeso e perciò stesso intangibile.

Quelle parole non ascoltano. Non si aprono alla comprensione. Non lasciano spazio a nessuno scambio.

Sono slogan. Riducono la complessità di una questione epocale al tirar su muri e al rafforzare gli eserciti come se tutto fosse solo una questione di ordine pubblico o peggio ancora di una guerra non convenzionale.

I numeri, che di solito non amo, raccontano qualcosa di profondamente diverso da ciò di cui la pancia di un paese che non ha mai amato la ragione pensa: basta aver voglia di cercarli e di leggerseli un po’, nemmeno il bisogno di studiarli tanto sono chiari.

E, in tempi di storytelling, la narrazione messa in campo per dare parola a quanto ci sta accadendo intorno mostra tante granitiche certezze a fronte di poche, poetiche, voci dissonanti.

Antoine di Saint-Exupery, in un testo bellissimo intitolato ''Lettera a un ostaggio'' racconta, tra le altre cose, di come un giorno si trovasse, da giornalista avventuroso, a seguire di nascosto la spedizione di un carico di materiale segreto.

Siamo negli anni della guerra civile spagnola e il carico avrebbe dovuto approvvigionare i combattenti anarchici.

Colto sul fatto, racconta di come fu portato nell’appartamento che serviva da quartier generale del manipolo dell’esercito dalle bandiere rosse e nere e di come trascorse, nel silenzio di due lingue che non si comprendevano, ore terrorizzate con la certezza di esser prossimo alla fine della propria vita.

Spinto dal desiderio di riaffermare il senso profondo della propria esistenza, ad un certo punto, si volse verso uno dei suoi carcerieri per chiedere il conforto di una sigaretta e lo fece rivolgendogli quello che lui stesso dice esser stato ''un vago sorriso''.

''L’uomo dapprima si stirò, si passò lentamente una mano sulla fronte, alzò gli occhi non più in direzione della mia cravatta, ma in direzione del mio volto e, con mia grande sorpresa, abbozzò anche lui un sorriso. Fu come il levarsi del sole''.

Fu allora che avvenne il miracolo.

E ''quel miracolo non risolse il dramma. Semplicemente lo cancellò, come la luce l’ombra. Non ci fu più alcun dramma. Quel miracolo non modificò nulla di ciò che era sotto i nostri occhi. Ma ogni cosa fu trasformata nella sua stessa sostanza. Quel sorriso mi liberava. era un segno così definitivo, così evidente nelle sue conseguenze, irreversibile come l’apparizione del sole. Apriva un’era nuova. Nulla era cambiato e tutto era cambiato''.

Poche pagine più avanti continua: ''Per i nostri bisogni materiali ci potrebbe bastare anche una tirannia totalitaria. Ma noi non siamo bestiame all’ingrasso. La prosperità e il benessere non bastano ad appagarci. Per noi che fummo educati nel culto del rispetto dell’uomo, importano gli incontri semplici, che si trasformano talvolta in feste meravigliose.

Rispetto dell’uomo! Questa è la pietra di paragone''.

Ed è anche il frutto più prezioso della nostra civiltà.

Forse, a pensarci bene, a quegli uomini e a quelle donne che attraversano il mondo lasciando tutto alle loro spalle sapendo che non potranno mai più far ritorno nella loro terra (qualità che li rende migranti e non viaggiatori) noi, a quegli uomini e a quelle donne, dovremmo dir grazie.

Per costringerci ogni giorno ad aprir gli occhi non potendo evitare i loro occhi.

Per impegnarci ogni giorno a farci ritrovare le ragioni di un sorriso.

Per farci risuonare negli orecchi il suono forte di tre paroline magiche e senza tempo: rispetto dell’uomo. Prima di tutto.

''Le avanguardie rivoluzionarie, di qualsiasi partito siano, danno la caccia non agli uomini (esse non valutano l’uomo per quello che è), ma ai sintomi. La verità dell’avversario appare loro come una malattia epidemica. Per un sintomo dubbio si spedisce la persona contagiata al lazzaretto dell’isolamento. Al cimitero''.

Sorridiamo e deponiamo le armi.

Rispetto dell’uomo, prima di tutto





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